“Ciao Spo’,
lo so che è tanto che non ti scrivo, ma sai com’è… arriva l’inverno, fa freddo, la pelliccia non basta più a scaldare e noi ci si ricicla come escort “al chiuso”.
Beh mica tutte, eh, perchè certe è meglio se restano in strada cor passamontagna in faccia. Con “noi” intendo le ragazze messe meglio, quelle che ti puoi portare a cena o presentare ai colleghi di lavoro senza fare brutte figure, che sanno comportarsi a modo in sala durante una cena importante per poi farsi montare nel guardaroba come uno scaffale dell’Ikea.
Siamo quasi tutte oltre il metro e settanta, chi più chi meno in forma, dotate del nostro magnifico culo rumeno e qualcuna pure di un bel davanzale raccoglisbò.
I nostri clienti di questo periodo sono tutti “colletti bianchi”, dall’impiegato che vuole fare bella figura con i colleghi millantando una relazione seria (quando il resto dell’anno s’ammazza di seghe davanti alla tv guardando quella fregna della Leotta), al capufficio che di norma si chiava le nigeriane in Portuense per 20€ a botta ma sai com’è, mica le può portare alla cena aziendale che quelle se per sbaglio je cade una forchetta s’infilano sotto al tavolo ed è un attimo che je scatta l’abitudine e vanno a sbottona’ tutta la fila di commensali. Per carità, la devozione al lavoro è sempre apprezzata, ma metti che uno c’ha n’attimo di cardiopalma e ce resta secco a sentirselo prendere in bocca da sotto al tavolo, che se poi tira su la tovaglia ‘n vede altro che ‘npajo de occhi.
Scusami Spo’, quando racconto con enfasi mi parte il romanesco.
E’ che si lavora duro, sempre, anche quando ti capita il soggetto strano, quello che ti fa dire “ma chi me l’ha fatto fa’? nun me potevo sposa’ con uno della posta, sfornare due marmocchi e stare col culo al caldo?”.
Invece no, sotto sotto questo stare sempre in giro, questo recitare amore, questo prendere cazzi tutto il giorno e tutti i giorni ha un certo je ne sais quoi di affascinante, specie se lavori bene ed il tuo “Capo area” è contento. S’incazza quando lo chiamo “Capo area”, il nostro Maestru, perchè dice che tutti quelli sotto a cui ha lavorato prima erano più fiji de na mignotta di lui; lui invece ci tiene a noi e ci tratta meglio che se lavorassimo per un’azienda normale, che tanto anche lì prima o poi lo pigli nel culo lo stesso.
Ti ricordi Spo’ di quello che m’ha tirato ‘na pizza in albergo? Ecco, diciamo che ne ha prese due, quando gliel’ho detto. E’ proprio bravo il nostro Maestru.
Ma torniamo a noi. L’altro giorno ho accompagnato un impiegato ad una cena aziendale: mi sono messa un bel vestito grigio perla con una importante scollatura che scopriva la schiena e lungo quasi fino a terra, niente di eccessivamente elegante ma ero proprio un gioiellino.
L’impiegato, che chiameremo Milvio per comodità, è venuto a prendermi con una macchina che ho visto solo in Romania: una Alfa Romeo Arna. Giuro. Pensavo di avere le allucinazioni. Dovevi vederlo Spo’, tutto bello impacchettato nel suo completino con tanto di guantini di pelle, bello spavaldo alla guida di quel dinosauro di macchina. Ho seriamente temuto di fare un viaggio nel tempo quando l’ho sentita accelerare sulla Appia.
Cerco di farci due chiacchiere, perchè lo vedo un po’ emozionato… probabilmente è la prima volta che porta una donna ad una festa, con tutti i colleghi poi! Allora gli dico che non ho messo nulla sotto al vestito (sento grattare la marcia), ridacchia nervosamente, gli chiedo se vuole toccarmi un po’ mentre siamo in coda al semaforo e sollevo il vestito aprendo le gambe (la marcia non entra e sento il motore ruggire), mi guarda le cosce, mi guarda la fica (frena bruscamente per evitare un tamponamento), siamo fermi in colonna così gli prendo la mano e sfilo il prezioso guantino appoggiandogli le dita sul mio grilletto.
La macchina si spegne. Le uniche cose accese sono il quadro dell’Arna ed cazzo di Milvio dentro ai pantaloni.
– te la senti di guidare amore?
– (bofonchia qualcosa)
– amore vuoi che guidi io?
Annuisce, riesce a malapena a deglutire. Davvero non posso farlo scendere così, sembra uno di quei galli segnavento con la freccia che punta a nord.
– amore adesso scendo e vengo al tuo posto, tu passa di qui al mio, ok?
Ok, ce la facciamo, ho guidato una Volga Gaz senza cambio assistito, che sarà mai?
Milvio è sul sedile passeggero, ancora con la sua fiera erezione contenuta nei pantaloni color senape con la piega, così – perchè come mi insegnava mio nonno falegname “nessun legno va sprecato” – decido di sbottonargli la patta e di movimentare l’attesa nel traffico con una bella sega. Milvio è al settimo cielo, dovrei dirgli che di solito si fa un pompino al guidatore e non una sega al passeggero ma perchè disturbare la sua felicità? Lavoro veloce e con precisione, il finestrino ed il suo lato del parabrezza sono ormai appannati dal suo ansimare finchè esplode come una burrata calda sul cruscotto della sua amata Arna.
Gli passo un fazzoletto, anni di esperienza mi hanno permesso di non macchiare nulla del suo completo stirato, per il cruscotto beh si pulirà, mica dobbiamo portarcelo a cena.
Arriviamo a destinazione, parcheggiamo un pochino distante per non dare nell’occhio e quando scendiamo lo aiuto a sistemarsi i vestiti. Mi guarda come se fossi la Madonna, probabilmente da tempo nessuno si prendeva cura di lui.
Milvio mi porge il braccio, è raggiante e sicuro di sè, questa sera farà un figurone con i colleghi, anche con quelli che lo trattano come pezza da piedi tutti i giorni. Passiamo una serata bellissima: lui mi sfoggia come un trofeo, io raccolgo biglietti da visita con discrezione.
Non so Spo’, sarà lo spirito natalizio ma mi sento di aver lavorato bene, non solo a livello professionale ma anche umano. Tante volte basta davvero poco per migliorare la vita di una persona, una parola, un abbraccio, una mano.
Non santa, però, mi raccomando.
Festosamente vostra,
Perestroja”
Arnatece: